Queste rappresentazioni della Morte presso i bretoni, trascritte dalla voce viva degli ultimi narratori nelle veglie notturne, erano per Le Braz (1859-1926) la sopravvivenza di una cultura celtica che il cristianesimo aveva solo consacrato e mai distrutto.
Anatole Le Braz, alla fine dell’Ottocento, trascrisse fedelmente le leggende bretoni, raccolte dalla viva voce degli ultimi narratori viventi durante le veillées, le veglie notturne nelle isolate fattorie che andava visitando in bicicletta: «per mettere in moto il meccanismo, di solito ero io a dare l'impulso. Cominciavo con il raccontare qualche episodio raccolto in altre zone. E nel cerchio di luce della lampada vedevo subito tutte le teste chinarsi, i volti animarsi, i tratti tendersi. Continuando a parlare, assistevo all'opera di resurrezione che ciascuna delle mie frasi provocava in quelle menti ancora confuse, ma affollate da tanti ricordi. Era raro che mi lasciassero finire senza interrompermi: Nann, n’é ket ével sé! (No, non è così!), esclamava qualcuno, aman vé laret a fesson all! (qui la cosa si racconta in un altro modo!). Ci si può ben immaginare con quale sollecitudine gli passavo le parole, e da narratore mi trasformavo in scriba». Per le persone che raccontavano, le storie non avevano nulla di fantasioso, erano fatti accaduti, a testimoniare della coesistenza, con la vita, della realtà della morte, una religione in cui i bretoni si rispecchiavano e che, secondo Le Braz, conservava il cuore autentico della cultura celtica che il cristianesimo aveva potuto solamente consacrare e mai distruggere. Storie di revenant, gli spiriti che ritornano, di spettri e di segni premonitori, i cosiddetti intersignes. Le tramandano pescatori e marinai, donne scolpite nel granito, carbonai, vagabondi, contadini, curati di campagne sperdute in selvaggia solitudine: sospesi per un momento sulla porta dell'oblio che li aspetta, rammemorano la morte ma dicono in realtà di se stessi.
1 Gennaio 2003
La memoria n. 571
568 pagine
EAN 9788838918193
Anatole Le Braz (1859-1926) nacque in un villaggio bretone e in Bretagna, a parte una parentesi parigina, trascorse tutta la carriera di docente e di studioso che ne fece il massimo esperto e archeologo e conservatore della cultura e del folclore della sua terra. Oltre a questo La Légende de la Mort chez les Bretons armoricains (del 1893) che conta trascrizioni testuali di resoconti orali bretoni, ha pubblicato racconti tratti da quella stessa materia orale - tra cui Contes du soleil te de la brume, Pâque d’Islande, Vieilles Histoires du pays breton, Récits de passants - ed un romanzo ad essa ispirato liberamente: Le Gardien du Feu.
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