La deportazione dei siciliani nei campi di sterminio attraverso le memorie dei testimoni sopravvissuti. Una pagina di storia fino ad ora mai scritta.
Mancava uno studio, completo e documentalmente costituito, sulla deportazione dei siciliani nei campi di concentramento e di sterminio nazisti. Una mancanza non innocente, perché fondata su una falsa convinzione corrente: l'idea che i siciliani, per via della precoce liberazione nel luglio del 1943 con lo sbarco alleato, fossero stati immuni dall'esperienza concentrazionaria. Questo studio è il primo completo sull'argomento: un primato da sottolineare per via del valore civile che assume accanto a quello scientifico e storico; e fa immediatamente giustizia di quel pregiudizio. I siciliani non furono risparmiati dalla conoscenza dei campi di concentramento: «in primo luogo perché in Calabria, Sicilia, Molise e Campania esistono sin dal 1938 campi di concentramento eretti dal regime monarchico-fascista, destinati agli ebrei stranieri ed agli antifascisti; in secondo luogo perché la mobilità creata dalla guerra attraverso il servizio militare fa sì che molti meridionali si trovino dopo l'8 settembre sbandati e contemporaneamente tagliati fuori dalle zone di residenza, perciò particolarmente vulnerabili ai rastrellamenti nazifascisti. I nati in Sicilia che finiscono nella rete concentrazionaria dipendente da Heinrich Himmler e dal suo apparato SS sono 761». Un numero ben più importante, quindi, dei pochi casi creduti. Ragion per cui questa indagine è articolata, soffermandosi, non solo sulle cause, i numeri e l'esperienza della deportazione, ma anche sul «ritorno difficile», l'insieme delle circostanze storiche, politiche, ideologiche e umane contribuenti alla cancellazione della memoria del lager, risposta cioè alla domanda più dura e difficile di tutte: perché si preferisce dimenticare? Una risposta che coinvolge dolorosamente ben al di là degli atteggiamenti individuali e dei pudori personali e riguarda la particolare selezione (la censura, forse) sulla memoria e sull'oblio che il presente e i suoi interessi hanno esercitato sul passato e la sua verità. Il volume si basa, oltre all'altra documentazione archivistica e cartacea, sulle testimonianze dirette dei deportati in forma di intervista sui diversi temi in cui si approfondisce la ricerca: prima del lager, il lager, il ritorno e la memoria, a ognuno dei quali è destinata una sezione del libro. In due appendici sono riportati, rispettivamente, i dati, le statistiche, gli elenchi dei deportati e le schede biografiche di ciascuno dei protagonisti, e il testo integrale delle interviste.
2006
Nuovo prisma n. 66
412 pagine
EAN 9788838921001
Giovanna D’Amico ha conseguito il dottorato di ricerca in Studi storici presso l’Università degli studi di Trento. Tra le sue opere più recenti: La reintegrazione degli ebrei nell’Italia postfascista. Sulla genesi di una legislazione, in «QualeStoria», n. 2, 2004; Storia e storiografia della persecuzione antiebraica in Italia ed in Europa. Militanti antifascisti ed operai deportati nei Lager nazisti (con Francesco Cassata e Giovanni Villari), in «Storia e memoria», atti del Convegno «Radici sociali della nostra democrazia. I lavoratori italiani nella Resistenza» (n. 2, 2004), a cura dell'Istituto ligure per la storia della Resistenza e della società contemporanea e di CGIL-CISL-UIL. Fa parte del gruppo di ricerca che lavora alla ricostruzione della deportazione degli italiani nei campi di concentramento e di sterminio nazisti, coordinato da Brunello Mantelli e Nicola Tranfaglia, presso il dipartimento di Storia dell’Università di Torino.
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