A scorrere le prime pagine di Uno per tutti, sembra di imbattersi un uno dei soliti romanzi dalla scrittura sciatta e annaspante, la stessa sintassi pedestre degli ultimi ?Premi Strega?, viene da pensare. Possibile che uno scrittore siciliano scriva allo stesso modo di come parla una commessa dell?Emporio Armani di Milano? Non è possibile! Poi, continuando nella lettura, ci si accorge, invece, che si tratta di un linguaggio misurato e in perfetto equilibrio emotivo. Prezioso, a tratti jazzato, sapientemente icastico nel rappresentare l?atmosfera angosciosa delle sue intense e brevi immagini e le emozioni di un racconto dal tono elegiaco prima ancora che nostalgico, tanto che, alla fine, ci si rende conto che non si sarebbe potuto scriverlo in altro modo, come un compositore sa di non poter fare a meno di un si bemolle in chiave alla sua marcia funebre. La nostalgia e il ricordo sono solo il contorno però, il livello di superficie di un racconto che naviga in immersione dalla prima all?ultima pagina. De Gregori, l?Amaricante il Santos, Billy Bis sono citati per chiamare ad adunata i quarantenni, ma subito dopo questi sono duramente sferzati prima con i versi di Quasimodo, a memoria dei loro nonni che avevano come religione laica il sacrificio, e poi con Baghera, testimone di una generazione che comunque ha scelto (scegliere è di per se stesso un valore, dunque), che ha puntato su un? colore, e forse ha sbagliato. Insomma la festa dei quarantenni si trasforma in allocuzione funebre per una generazione non di sconfitti, ma peggio, che non ha voluto battersi, che non si è schierata per nessuno (poiché le battaglie sono inutili) che si è lasciata andare au cret de vent. Il male agisce per vie sottili; l?innocenza non è di per se stessa salvifica se non in un?idea ultramondana della vita; non c?è giustizia né ricompensa nel concatenarsi insensato delle vicende umane. Credo che siano questi i temi che emergono sullo sfondo di una vicenda solo all?apparenza punteggiata da personaggi comuni, ma in realtà da archetipi (Gil/Isacco? Pendolino/Abele-Urbinek?). La scena epifanica del ritrovamento della pistola avvolta nel giornale, il cancro che ?punisce? in modo cieco il più ferocemente leale tra cinque amici, il più disincantato e allo stesso tempo il più generoso di loro, rappresentano temi universali: le colpe dei padri, cioè di quella generazione di terroristi che ha scelto la violenza, che ricadono ineluttabilmente sui figli, peggio, versano diabolicamente il sangue degli innocenti (Pendolino) a testimonianza della loro colpa di fondo; e poi, tutti coloro che si aspettano un tornaconto, la giusta ricompensa dalla propria assunzione di responsabilità (Gil), dal proprio chinarsi per passare dalla porta stretta, dal rinunciare e resistere, restano non delusi, ma mortificati nelle loro aspettative poiché non c?è corrispondenza tra il dare e l?avere, non c?è riconoscenza né riconoscimento alle proprie giuste azioni, da queste parti comanda solo la natura matrigna e siamo tutti vittime della teoria del caos! Se poi esiste una giustificazione metafisica alle vicende umane, una giustificazione imperscrutabile di un Logos che agisce a nostra insaputa (ciò che è saggio per Dio è follia agli occhi degli uomini, dice San Paolo) non ci è dato di sapere, ma sarà sufficiente a consolarci? Ps: Ehi Gaetano, tu le avevi rosse o blu le mecap?
2008
La memoria n. 758
168 pagine
EAN 9788838923173
Formato e-book: epub
Protezione e-book: acs4